Nuove leggi per l’alternanza scuola-lavoro. E’ questa la richiesta che nelle ultime settimane, dopo i fatti di cronaca che hanno visto la morte di due giovani stagisti, stanno avanzando studenti, presidi, sindacati e forze politiche. La revisione riguarda la legge 107 del 2015, la cosiddetta ‘Buona Scuola’, regolata dagli articoli 33 e 43, e il dibattito è ancora aperto, soprattutto sui temi delle mansioni che possono assolvere, i fattori di rischio e gli standard di sicurezza da garantire ai tirocinanti, alla stregua di quelli previsti per i dipendenti veri e propri.
Che cos’è l’alternanza scuola – lavoro
La disciplina dell’alternanza scuola lavoro, già prevista nel nostro ordinamento dal 2003, ha subito un riordino ed è diventata obbligatoria solo nel 2015 attraverso la cosiddetta riforma della “Buona Scuola”, la 107/2015,. Oggi l’alternanza scuola-lavoro, dopo la prima legge di bilancio del 2018, si chiama Pcto, ovvero “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”, e prevede che migliaia dei ragazzi delle secondarie di secondo grado possano confrontarsi con i più svariati settori del mondo produttivo. Si tratta di una modalità didattica che attraverso l’esperienza pratica punta a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e testare sul campo le attitudini. L’obiettivo è quindi arricchire la formazione e orientare il percorso di studio ai fini dell’inserimento nel mondo del lavoro.
L’origine di tale riforma è di matrice europea e si inserisce all’interno della strategia “Europa 2020” che mira a rendere il sistema di istruzione europeo più moderno, inclusivo e attento anche alle abilità trasversali dei giovani lavoratori (come ad esempio le abilità in ambito digitale).
In particolare, l’articolo 33 della legge 107/2015, stabilisce la durata diversificata delle attività formative per i licei rispetto agli istituti tecnici, fermo restando che è un passaggio obbligatorio per tutti gli studenti degli ultimi 3 anni delle scuole superiori. La differenza è basata sull’impianto stesso degli studi condotti dai ragazzi, più o meno strettamente professionalizzanti.
La ripartizione è la seguente e vede un monte ore complessivo da distribuire nel corso del triennio:
- Alternanza scuola lavoro per i licei: 90 ore
- Alternanza scuola lavoro per gli istituti tecnici: 150 ore
- Alternanza scuola lavoro per gli istituti professionali: 210 ore
Come riporta l’apposita piattaforma governativa, i periodi di apprendimento specifico, anche se realizzati in periodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni, sono parte integrante del curriculum dello studente. Nonostante quindi sia preferibile far coincidere i tempi, lo studente potrebbe svolgere le attività in orari extracurricolari.
I tirocini sono regolati da una convenzione tra il soggetto promotore e il soggetto ospitante e sono svolti sulla base di un progetto formativo individuale firmato dal promotore, dall’ospitante e dal tirocinante. Per ogni stage vi è un tutor didattico organizzativo e un tutor aziendale. Il soggetto promotore si fa garante della attivazione della copertura assicurativa dei tirocinanti. Il numero di tirocinanti presenti contemporaneamente è proporzionato al numero dei lavoratori a tempo indeterminato presenti nell’unità operativa. Al termine del tirocinio il soggetto ospitante rilascerà al tirocinante un’attestazione dell’attività svolta e delle competenze acquisite. Le figure di garanzia dell’alternanza scuola-lavoro sono il datore di lavoro della scuola inviante, il tutor scolastico che segue lo studente, il datore di lavoro dell’azienda che ospita lo studente, il tutor dell’azienda che sovrintende e vigila sullo studente, i due Responsabili del servizio di prevenzione e protezione.
Nel contesto della sperimentazione del sistema duale in Italia, lo Stato, le Regioni e le Province Autonome hanno concluso un accordo (CSR 158/2015 del 24/9/15) su un progetto di rafforzamento del suddetto sistema nell’ambito della Iefp che consentirà agli studenti iscritti ai corsi degli Istituti di istruzione e formazione professionale regionale di optare per un modello formativo duale in cui l’alternanza scuola-lavoro verrà “rafforzata” da periodi di applicazione pratica presso un datore di lavoro.
Il sistema duale
In Europa il modello più vicino all’alternanza scuola lavoro è il sistema duale tedesco, che si è indubbiamente preso a riferimento a livello legislativo per raggiungere prima di tutto l’obiettivo di rendere per i giovani più accessibile il mondo del lavoro. Tra il sistema italiano e quello tedesco ci sono però delle differenze importanti, tant’è che in Germania esso viene considerato addirittura una delle chiavi di forza e motivi di competitività del loro sistema produttivo. Una delle differenze fondamentali è nei tempi e nei modi di accesso. In Germania l’esperienza professionale si svolge in un momento in cui lo studente deve ancora scegliere come completare il suo percorso di studi. L’esperienza quindi è utile a definire il percorso. In Italia invece l’esperienza si svolge durante un percorso di studi già avviato e consolidato. Ma la cosa più importante è che in Germania si accede al sistema duale non tramite la scuola ma rivolgendosi direttamente all’azienda a cui si è interessati, che deve ovviamente avere tutte le autorizzazioni per consentire allo studente di seguire questo percorso. Tutto il percorso dal punto di vista amministrativo e dei controlli viene seguito dal corrispettivo tedesco della nostra camera di commercio.
Perché è un sistema che ha bisogno di essere cambiato?
Si deve partire innanzitutto da una riflessione sul ruolo delle imprese nel nostro sistema, che al contrario di quelle tedesche, di media e grande dimensione, sono in Italia piccole, fragili dal punto di vista finanziario e di mercato, specialmente in questo contesto storico. Il problema della sicurezza nelle imprese italiane è generale e grave, lo testimoniano i numeri degli incidenti sul lavoro: secondo l’Osservatorio nazionale indipendente sui morti del lavoro nel 2021 si sono registrati 1.404 lavoratori per infortuni sul lavoro, di questi 695 sui luoghi di attività (+18% rispetto all’anno 2020), mentre i rimanenti ‘in itiniere’, vale a dire nel tragitto verso o dal posto di lavoro. E va sottolineato come l’anno scorso ci sia stato il fermo di molte attività produttive per l’emergenza Covid, e di quanto questo dato possa essere più grande quest’anno senza interventi rilevanti nel sistema. Mandare dei ragazzi dai 16 anni in su in luoghi non sicuri, esponendoli ad un alto rischio – il fatto dei due ragazzi morti in stage oltre che quello giovane disabile ferito – è un assurdo e insostenibile danno a coloro che hanno in mano il futuro del nostro Paese. Altro problema è la tipologia di aziende e di mansioni che ci si trova ad eseguire, considerando che spesso si svolgono vere e proprie attività lavorative e non solo di formazione, che in altre situazioni sarebbe impensabile far realizzare a tirocinanti giovani ed inesperti. In realtà, tra Italia e Germania cambia proprio l’obiettivo principale: nel paese teutonico si punta a insegnare un singolo mestiere, mentre nel Belpaese a far conoscere in senso lato allo studente il mondo del lavoro, e infatti qui lo studente non viene retribuito, perché, al contrario della controparte tedesca, non sta lavorando, bensì completando il suo percorso di istruzione.
Le possibili proposte
Gli episodi drammatici di Lorenzo Parelli di 18 anni, deceduto il 21 gennaio in un incidente presso una fabbrica siderurgica e ricordato dal Presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento, così come quello che ha coinvolto Giuseppe Lenoci, 16 anni, morto in un incidente stradale mentre era in stage in provincia di Ancona, pongono l’attenzione sulla formazione professionale di competenza regionale e le loro regole sui tirocini, sugli stage e sulla sicurezza. Tra le possibili soluzioni raccolte la creazione di un albo di aziende certificate, l’incentivo ai tutor aziendali e scolastici e i rimborsi agli stagisti.
“È necessario un cambiamento culturale per la costruzione di una modalità didattica innovativa italiana, che riprenda le buone prassi europee coniugandole con le specificità del tessuto produttivo ed il contesto socio-culturale italiano”.